Licia Vlad Borrelli, Creta, 1950
Licia Borrelli Vlad, laureata a Firenze con Ranuccio Bianchi Bandinelli, è stata Allieva nel 1950, il primo anno della riapertura della Scuola dopo la guerra (in seguito all’8 settembre del ’43 la Scuola era stata chiusa, il direttore Laurenzi incarcerato e poi rimpatriato; Doro Levi sarà nominato direttore nel 1947). Gli allievi dell"’anno zero" della nuova fase furono oltre a lei, Antonino Di Vita e Maria Teresa Marabini.
Come era la Scuola che ha trovato?
Nel 1950 esistevano solo due scuole di perfezionamento in archeologia, a Roma e ad Atene; a entrambe si accedeva mediante concorso. L’ultimo anno, il terzo, gli allievi lo passavano ad Atene, presso la scuola. A questo titolo io frequentai nel 1950 la scuola di Atene. Mi ero laureata a Firenze con Bianchi Bandinelli, Maria Teresa Marabini e Nino Di Vita invece avevano vinto il concorso per la scuola di Atene e vi rimasero tre anni.
La sede della Scuola era allora in due piani della palazzina di Leophoros Amalias 56. Nel primo c’era la residenza del direttore e la biblioteca ove si svolgevano le lezioni di Levi. Poiché io ero già funzionaria di quella che allora si chiamava la Direzione Generale per le Antichità e Belle Arti del Ministero dell’Istruzione (avevo vinto il concorso per ispettore nel 1950), fui incaricata della sistemazione della biblioteca. La nostra vita era molto semplice e Levi ci raccomandava di essere estremamente discreti. Anche i contatti con le altre Scuole furono scarsi. La nostra posizione non era facile; eravamo in un paese che era stato da poco invaso dall’Italia. Eppure i Greci erano benevoli nei nostri confronti, si appellavano piuttosto alle affinità che vi erano fra di noi (“una faccia, una razza”) e mai allusero alla recente guerra dell’Italia. Testimonianza della grande generosità di quel popolo. Il Direttore Generale delle Antichità, Papadimitriou, ci accompagnò personalmente a Micene e in altri luoghi.
Al ritorno da Creta compimmo il viaggio per visitare le antichità della Grecia. Fu molto complicato e difficile poiché le strade erano dissestate, la logistica primitiva e gli enormi taxi americani su cui viaggiavamo molto malandati. Visitammo anche alcune isole, Egina, Salamina, Cnido, il Dodecaneso sostando a Rodi.
L’anno prima del suo arrivo era terminata la guerra civile tra i comunisti repubblicani dell’Esercito Popolare Greco di Liberazione (EΛAΣ: Ελληνικός Λαϊκός Απελευθερωτικός Στρατός e i monarchici. Come le apparvero Atene la Grecia?
Atene era appena uscita da una terribile guerra e appariva un paese disfatto, in estrema povertà, ma tranquilla. Come ho detto verso noi i Greci si dimostrarono sempre amichevoli e disponibili.
Durante il suo periodo ellenico, partecipò agli scavi di Lemno e di Creta. Potrebbe raccontare quelle esperienze?
A Creta partecipammo agli scavi di Festòs; costituiva la parte “pratica” del nostro tirocinio. Prima di partire per Festòs ci eravamo fermati a Heraklion, abitando nella bella palazzina della Scuola, per visitare Cnosso e i musei di Heraklion. A Festòs c’era allora anche Luisa Banti che preparava una sua pubblicazione. Abitava nella nostra sede; di sera, per perfezionarsi nella lingua, leggeva Pinocchio tradotto in greco e un tonfo del libro che cadeva a terra era il segno che la professoressa si era addormentata.
A Lemno andai due anni dopo, partecipando alla missione di Bernabò Brea che aveva lo scopo di verificare lo stato dello scavo di Poliochni sulla base dei taccuini di scavo di Della Seta e dei suoi allievi. Poliochni era stato lo scavo-esercitazione degli allievi della Scuola prima della guerra. Ora lo scavo era seminato di bombe e il nostro lavoro fu abbastanza difficile e pericoloso, poiché dovevamo operare saltando fra i muretti per evitare le bombe inesplose. Con grande rischio i locali se ne servivano per pescare. I materiali rivenuti furono catalogati e conservati in museo. Levi aveva affittato per la nostra missione una villetta a pochi chilometri dallo scavo, ma io non potei abitarci; infatti i due collaboratori siciliani di Bernabò si rifiutarono di dormire sotto lo stesso tetto di una zitella, quale io ero: questa convivenza li avrebbe disonorati presso i loro concittadini. Così mi trasferii nella casa della nostra padrona, in una camera sopra la stalla. Qui, circondata da una serie di ritratti di familiari barbuti, di sera traducevo per Einaudi il volume di Ceram, Civiltà sepolte, il cui titolo in tedesco era Götter, Gräber und Geleherte. Ebbe notevole successo; fu il primo libro di divulgazione dell’archeologia ed era scritto con abilità e competenza. L’anno seguente fui riammessa nella casa comune perché ero accompagnata da mio marito.
Da Lemno, in una notte di tempesta, andammo con un caicco a Samotracia dove era stato da poco rinvenuto un dito della Vittoria ed erano in corso gli scavi di Lehmann.
Cesare Brandi, con cui ha collaborato all’Istituto Centrale per il Restauro di Roma, ha amato molto la Grecia ma ha avuto giudizi negativi sui restauri delle antichità di Atene: la Stoà di Attalo nell’Agorà gli faceva venire i brividi solo a pensarci, lo Stadio di Erode Attico gli sembrava falso e peggiore dello Stadio dei Marmi di Roma, considerava il Partenone una ricostruzione insensata e la copia di sé stesso (così scrisse nel suo libro del 1954, Viaggio nella Grecia antica). Qual è il suo punto di vista?
Il giudizio di Brandi è conforme a quello espresso nella sua Teoria del Restauro e messo in opera nell’attività dell’Istituto Centrale del Restauro. A parte le inesattezze di molte di quelle prime ricostruzioni esse distruggevano le testimonianze e i segni che il tempo avevano lasciato sul monumento che facevano parte ormai della sua storia e della sua identità, e, come tali, andavano conservati. I recenti restauri, operati con il controllo dell’UNESCO e guidati dal “Comitato per i Monumenti dell’Acropoli” sono accuratissimi; hanno eliminato molti dei dannosi restauri precedenti e permesso nuove scoperte ed analisi, come, ad esempio, l’esame degli intonaci e la loro colorazione. Tuttavia il giudizio di Brandi sulla ricostruzione è inalterato.
La teoria del restauro di Brandi è ora condivisa nelle sedi internazionali, anche dove, un tempo, come in ambiente anglosassone, era osteggiata, e rappresenta ancora oggi la più avanzata speculazione sulla filosofia del restauro.
Va, peraltro, ricordato che i termini “autenticità” e “identità” fondamentali per il nostro giudizio non esistono nelle culture orientali. In Giappone e in Cina non vi è alcuna remora nel ricostruire gli elementi fatiscenti poiché l’identità di un monumento è unicamente affidata alla persistenza del suo aspetto e delle sue funzioni. Fin dal VII secolo d.C. è attestata in Giappone la pratica dello “shikinen sengii” che consisteva nel radere al suolo ogni vent’anni il santuario imperiale di Ise per ricostruirlo identico.
I contatti sempre più frequenti con mondi così diversi hanno posto l’esigenza di riconsiderare rispetto ad essi i concetti di “autenticità” e“integrità” quali si erano configurati nei protocolli di restauro occidentali. In Giappone non esistono parole con un significato semantico corrispondente ai nostri termini di “identità” e “autenticità”. Da questa esigenza è nato un congresso promosso dall’UNESCO e tenutosi a Nara (Giappone) nel 1994. Una lunga discussione fra studiosi di numerosi paesi ha prodotto un documento nel quale si riconosce a queste due diverse etiche della conservazione pari dignità nell’ambito dei rispettivi contesti culturali.
Forse questa digressione esula dagli argomenti della nostra conversazione, ma mi è parso opportuno accennarvi per precisare la attuale problematica sul restauro.
Qual è il ricordo più bello e il ricordo più brutto del tempo passato alla Scuola e in Grecia?
Quegli anni in Grecia furono fra i più belli della mia vita. Realizzavano un sogno che le vicissitudini della guerra avevano sempre più reso inattuabile, mi fecero conoscere un paese ed un popolo ai quali mi legai profondamente, mi consentirono amicizie che sono rimaste fra le mie più care. Brutti ricordi? Non ne ho.
Da allora sono tornata molte volte in Grecia, sia come consigliere della Scuola, sia per incarichi internazionali, congressi UNESCO, restauri, ecc. Molti greci diplomati ai corsi dell’Istituto Centrale del Restauro sono diventati in luogo ottimi restauratori. Ero ad Atene nel 1985 quando la città fu nominata la prima capitale della cultura alla presenza di numerosi capi di stato, fra cui ricordo François Mitterand. Melina Mercouri, allora ministro della cultura, tenne un appassionato discorso sull’Acropoli nel quale richiese con forza la restituzione delle metope, delle sculture dei frontoni e degli altri elementi architettonici del Partenone emigrati in Inghilterra e in Francia. Fu una battaglia che costituì il suo principale impegno in varie sedi internazionali durante tutto il periodo del suo incarico. Ricordo in proposito un suo vibrante intervento a un congresso generale dell’Unesco a Città del Messico, ove ero presente. Il problema della restituzione ai luoghi di origine dei beni archeologici apre un lungo discorso dai molteplici aspetti e non è certo questa la sede ove affrontarlo.
Sede della Scuola Archeologica Italiana di Atene fino agli anni '70. Leoforos Amalias 56